Un sonnolento paesino di una recondita provincia ai margini dell’Impero è scosso da una notizia
inattesa: un Ispettore Generale dell’Imperatore è in arrivo. L’avvenimento getta in fermento tutto il
paese; chi vede a rischio la propria posizione, chi intravede la possibilità di un’improvvisa scalata
sociale…
Il motivo per cui L’Ispettore Generale è una delle commedie più rappresentate di Gogol è che
questo testo contiene una satira ferocissima sul potere. In quanto tale, è un testo più che attuale, è un
testo eterno, perché il concetto di potere è insito e inscindibile dal concetto stesso di società e, di
conseguenza, di umanità. Il concetto di potere va ben aldilà dell’ambito politico a cui siamo
immediatamente rimandati e che anche nel testo di Gogol è il primo livello di lettura. La dinamica
di potere è intrinseca in qualunque forma di organizzazione sociale, dallo Stato, all’azienda, alla
famiglia. Dovunque due o più individui convengono più o meno consapevolmente, più o meno
volontariamente su un sistema di regole che disciplinino il vivere comune, si stabilisce una
dinamica di potere.
La corruzione, che nel testo di Gogol è evidente, violenta, esagerata, è solo uno stratagemma, è il
reagente, per far emergere il vero bersaglio della satira, che è ancora una volta l’uomo, nella sua
miseria, nella sua debolezza, nella sua incapacità di restare in equilibrio di fronte a questo mostro
sacro, questo idolo, che è il potere. Nella sua incapacità perfino di riconoscere il “vero” potere.
La relazione dell’uomo con il potere è il vero motore di questa commedia. La paura del potere,
l’invidia del potere, l’accondiscendenza verso il potere, l’arroganza del potere. La rivendicazione
del potere, la paura di perderlo, la frustrazione di non averne abbastanza. In questo testo il potere è
una palletta impazzita che passa da una mano all’altra. Tutti i personaggi (o quasi tutti), si trovano
su una montagna russa in cui in un certo momento gestiscono il potere, subito dopo lo subiscono,
hanno l’illusione di riacciuffarlo, per poi perderlo di nuovo. Perché il dramma e la condanna
dell’uomo di potere è questa: c’è sempre qualcuno che ha più potere di te.