di JEAN PAUL SARTRE regia di EMILIA MISCIO & MARCO PETRINO compagnia LE CATTIVE COMPAGNIE E SOGNI DI SCENA Il Cast Davide De Santis – il cameriere Marco Petrino – Garcin Ilaria Buiarelli – Inés Carla Diomedi – Esthelle Lo spettacolo verrà diretto per la prima metà da uno dei registi e per la seconda metà dall’altro secondo un ordine che verrà di sera in sera tirato a sorte dando così vita ad uno spettacolo diverso ogni replica. Le due regie proporranno dunque allo spettatore un doppio punto di vista sui personaggi che si muoveranno sulla scena seguendo per una prima metà dello spettacolo l’impostazione registica dell’uno e poi dell’altro. Porta chiusa racconta di Garcin, Esthelle ed Inés che vengono introdotti da un cameriere in una stanza, caldissima e senza finestre, illuminata a giorno (non è in loro potere spegnere la luce); non ci sono specchi né finestre: per poter guardare la propria immagine sono costretti a “specchiarsi” l’uno negli occhi dell’altro. L’uomo e le due donne sono morti e sanno di essere dannati, ma non vedono dentro quella stanza, in cui sanno di dover scontare la pena eterna, tutto l’armamentario che immaginavano di trovarvi: pali, graticole, roghi. In quest’inferno metaforico, infatti, non c’è tortura fisica: la condanna di ciascuno consiste nell’essere giudicato perpetuamente dagli altri due. A turno rivelano le proprie viltà, le proprie vergogne; ognuno svolge nei confronti degli altri il ruolo di boia e, nello stesso tempo, risuscita quell’immagine di sé che si sarebbe voluta cancellare o mostrare diversa per non ricordare le colpe e l’ambiguità di un’esistenza vissuta in malafede. Garcin, brasiliano, direttore di un giornale pacifista, tradiva spudoratamente la moglie; la francese Esthelle, che conduceva apparentemente una tranquilla vita borghese, ha ucciso la figlia neonata avuta dall’amante ed è responsabile del suicidio di quest’ultimo. Inés, una spagnola impiegata alle poste, dannata già in vita perché amava le donne, è colpevole di aver distrutto malvagiamente, solo per assecondare la propria passione, una coppia felice. Ognuno di loro, quindi, diventa il testimone che fissa per sempre l’identità degli altri, inchiodandoli a ciò che sono stati. Nella stanza in cui sono rinchiusi i dannati si svolge un terrificante gioco al massacro che avrebbe potuto interrompersi all’aprirsi improvviso della porta: ma a quel punto nessuno decide i uscire. Essi non possono più sottrarsi alla condizione nella quale si sono venuti a trovare e al legame che li tiene uniti indissolubilmente, in cui l’uno non può fare a meno degli altri due. Esthelle desidera intensamente Garcin, Garcin Ines e Ines Esthelle. La condanna è destinata a portarsi all’infinito. Note di Produzione La Compagnia ha scelto di rappresentare il teatro esistenzialista francese, quel teatro di parola e di negazione, rivisitato e adattato agli occhi di spettatori abituati quasi a tutto. E se una volta a teatro si riportasse il teatro, quello di situazione e di parola? Potrebbe interessare a qualcuno? Ecco perché si è scelto “Porta Chiusa” di Jean-Paul Sartre. Un teatro che potrebbe essere sentito alla radio, ad occhi chiusi, senza acrobazie o tensioni muscolari; un teatro fatto di logica e di voce. Il progetto è quello di mettere in scena un teatro “intimo” dove le parole degli attori potessero fondersi ai respiri del pubblico, un teatro vivo senza distanze. Un esperimento nuovo al quale solo quei futuristi greci avevano pensato. L’unica novità che si vuole dare è una multivisione dello spettacolo, un dramma di circa un’ora e mezza diretto da una doppia regia, quella di Emilia e quella di Marco. Emilia Miscio ha immaginato il testo nell’accezione più pura, senza stravolgimenti, affidando il suo progetto a dei video che proiettano la vita ormai persa dei protagonisti. Ognuno di loro tenterà di sfuggire alla tortura reciproca rifugiandosi in quel che resta della propria vita passata. Proverà a toccare i vecchi sentimenti, si ancorerà a tutto ciò che è passato senza futuro, quel passato di colpe e crimini che ora hanno un sapore meno amaro. In retroproiezione sfilano, amori, passioni, lacrime e gioie di una vita, una vita che non c’è più e quando gli occhi si riaprono la tortura per l’assenza diventa ancora più viva. Marco Petrino ha immaginato che quella stanza di tortura fosse una stanza della confessione, dove i protagonisti, colpevoli, vengono rinchiusi per spiare le loro azioni e i loro comportamenti, una sorta di casa del Grande Fratello dove le telecamere riprendono ininterrottamente le torture psicologiche. La stanza è vuota senza strumenti di tortura, ma saranno gli stessi personaggi che con le loro confessioni e le loro accuse si costruiranno la gabbia dalla quale non potranno più uscire. La stanza delle confessioni può essere uno show che i produttori offriranno in pasto ad un pubblico affamato e cinico. I ballerini introdurranno lo show con lo stacchetto e la sigla tipica di una trasmissione televisiva. Prima dell’inizio dello spettacolo si tira a sorte con quale regia iniziare e poi nel bel mezzo si cambia impostazione, e l’altra regia porterà alla fine lo spettacolo. Il testo e i contenuti restano, le visioni variano. Non verrà tradito alcun concetto del teatro sartiano l’elemento dell’impossibilità di una relazione positiva tra gli “altri” che veniva solo teorizzata ne “Le mosche”, qui viene ampliato e amplificato. I personaggi sono in una posizione ambigua, nello stesso tempo di sfida, nei confronti del destino: infatti, si esprime il condizionamento perenne di ciascuna esistenza in rapporto a quella degli altri, si afferma l’importanza capitale, perché ineludibile, di tutti gli altri esseri per ciascun individuo. Gli altri sono lo strumento del nostro supplizio perché sono indispensabili alla nostra salvezza. Né negazione, né nullità, ma ricerca, l’esistenzialismo di Sartre non è così disfattista come quello di Camus.